Quali sono le emozioni di un professionista della salute quando abbandona temporaneamente il camice bianco e diventa improvvisamente paziente? Ce lo racconta in una lettera di ringraziamento rivolta all’equipe di Ortopedia, una collega federiciana.
“Ci sono ambiti della medicina che nello scenario pandemico che caratterizza il corrente biennio hanno dovuto stringere i denti per sopravvivere o soprattutto per garantire gli standard di una bella medicina capace di efficacia ed umanità. Anche perché le malattie tutte non hanno frenato la loro inesorabile incidenza, tra queste sicuramente la traumatologia. Si cade e una caduta sfortunata può trasformarsi in una rovinosa frattura. Così è capitato a me: in una banale passeggiata di primavera, ecco trasformarmi un poco simile a due dei personaggi letterari a me cari: il riflessivo indimenticabile Giovanni Casthorp e perché no il Nathan Zuckerman della lezione di anatomia, vittima appunto di un trauma e come me curato in ospedale universitario dove lavorava un suo caro amico. Come i miei compagni di sventura fantastici ho sicuramente guadagnato, nel tempo di un capitombolo, una lente di ingrandimento privilegiata sulla sofferenza di tanti malati e sul valore delle cure. Nonostante due anni di pandemia, la traumatologia, di casa per me, che da vent’anni lavoro al Policlinico Federico II, riesce a realizzare quella che si può definire una ‘bella medicina’.
Bella in quanto esatta, ‘evidence based’ come sono state le scelte terapeutiche del primario Prof. Mariconda e l’operatività del suo team, dei colleghi Maria Rizzo e Alessio Bernasconi. Rapida nel realizzare un allineamento preciso, grazie anche ad una radiologia esperta come quella del Prof. Arturo Brunetti, attenta e molteplice nel garantire ogni particolare del percorso, come gli anestesisti del Prof. Giuseppe Servillo, capaci di trasformare la loro arte in una gestione superlativa del dolore post operatorio, come Luca Diana e i fisioterapisti del gruppo, pronti a organizzare una strategia di recupero integrata. E soprattutto leggera, come il clima disteso e concentrato della sala operatoria mi ha piacevolmente dimostrato, come rende ancor più il fatto che dopo il mio ci sono stati altri interventi altrettanto complessi, realizzati con pari maestria e consapevolezza. La malattia anche le disavventure dei traumi rappresentano un aspetto quotidiano dell’esistenza, la capacità di saperle curare al meglio, per tutti, richiede studio, ore di lavoro, ma anche grande spessore umano. È questo un tributo che mi sento di riconoscere a tutti i professionisti che mi hanno aiutato, nella profonda convinzione che il loro lavoro possa avere un impatto significativo nell’assistenza“.
Lettera firmata