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Questo articolo è stato scritto il giorno 13 nov 2017 da Alessandra Dionisio, e appartiene alle categorie: Medicina Generale e del Territorio, News Sito Web AOU, Nuove tecnologie e new media, Prevenzione e promozione della salute, Scienza e medicina, Studi, analisi e ricerche, Tutte le comunicazioni.

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Mucopolisaccaridosi di tipo VI, sperimentata per la prima volta al mondo la terapia genica al Policlinico Federico II

articolo scritto da Alessandra Dionisio

dnaPresso il Dipartimento ad Attività Integrata di Pediatria del Policlinico Federico II, per la prima volta al mondo, un paziente con mucopolisaccaridosi di tipo VI ha ricevuto un farmaco di terapia genica.

Ma cos’è la mucopolisaccaridosi di tipo VI? Si tratta di una grave malattia genetica con coinvolgimento multi-sistemico dovuto al deficit dell’enzima arilsolfatasi B. Il farmaco usato è derivato dal virus adeno-associato ed ha la capacità di trasferire il gene codificante per l’enzima arilsolfatasi B che, una volta prodotto dalle cellule del fegato, viene secreto nel circolo ematico e, quindi, captato dai tessuti affetti.

In sintesi, nei pazienti con mucopolisaccaridosi di tipo VI il gene che codifica l’arilsolfatasi B è mutato e produce un enzima non funzionante. L’obiettivo della terapia genica è fornire al paziente il gene corretto per ripristinare la funzione dell’enzima. In questo modo, si evita l’accumulo di sostanze tossiche che determinano danni agli organi. La terapia genica avviene attraverso una singola infusione del farmaco in una vena periferica. Il farmaco consiste in un virus trattato in laboratorio per eliminarne gli effetti dannosi e conservarne la capacità di trasferire geni. Le cellule del fegato che ricevono il gene codificante per l’enzima diventano una fabbrica per la produzione e secrezione dell’enzima che viene poi captato dagli altri organi”, spiega Nicola Brunetti Pierri, responsabile della sperimentazione.

Gli studi effettuati da Alberto Auricchio, responsabile del programma di terapia genica dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli (TIGEM), e professore di Genetica Medica presso l’Università Federico II di Napoli, hanno dimostrato in modelli pre-clinici che l’enzima arilsolfatasi B viene espressa per molti anni dopo una singola somministrazione, portando a benefici clinicamente rilevanti.

Il team medico che segue la sperimentazione clinica del farmaco è composto, inoltre, dai pediatri Roberto della CasaSimona Fecarotta e Giancarlo Parenti con il supporto degli anestesisti, Maria Vargas e Giuseppe Servillo e del personale infermieristico.

Lo studio clinico prevede, inoltre, l’arruolamento di altri pazienti provenienti da altri centri italiani, da un centro olandese e da un centro in Turchia: tutti i pazienti riceveranno il farmaco presso il Dipartimento ad Attività Integrata di Pediatria (DAI) dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II.

Un successo conseguito grazie alla stretta collaborazione tra il TIGEM, diretto da Andrea Ballabio, l’Azienda Ospedaliera Federico II, il Dipartimento ad Attività Integrata di Pediatria e il Dipartimento di Scienze mediche Traslazionali, che pone il Policlinico Federico II in una posizione di assoluto prestigio a livello nazionale e internazionale.

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