Si è tenuto venerdì 24 giugno nell’Aula Grande dell’edificio 2 dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, il convegno “Il ruolo del laboratorio di biochimica clinica negli attuali percorsi clinico-diagnostici”, finalizzato a condividere esempi concreti di integrazione tra professionisti di laboratorio e di corsia. Si è, in particolare, discusso del ruolo dei marcatori bio-umorali nello scompenso cardiaco e della troponina cardiaca ad alta sensibilità nella patologia miocardica ischemica, con un focus dedicato alla gestione clinica e di laboratorio del paziente con insufficienza renale acuta e di quello sottoposto a trapianto di organi.
Hanno aperto i lavori: Luigi Califano, Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli, Gaetano D’Onofrio, sub commissario in materia sanitaria dell’Azienda, Paola Izzo, direttore del DAI di Medicina di laboratorio e Maurizio D’Amora, delegato regionale SIBIOC – Medicina d laboratorio, mentre Giuseppe Castaldo, responsabile del P.I. di Sviluppo di tecnologie avanzate per la diagnosi di malattie genetiche ereditarie, ha introdotto i temi della discussione.
Particolarmente significativa la testimonianza di Antonio dello Russo, direttore della UOC di Biochimica Clinica ed Emergenze del Policlinico Federico II: “L’organizzazione di questo convegno è legata all’inaugurazione delle nuove strumentazioni del laboratorio di biochimica clinica dell’Azienda. Si tratta di un primo passo per incrementare e migliorare il rapporto tra il clinico e il laboratorista, perché questa interazione possa aiutare in una corretta gestione delle patologie del paziente”. E, in tal senso, l’avere a disposizione strumentazioni di ultima generazione non potrà che migliorare l’intesa tra i due interlocutori coinvolti, così come conferma lo stesso Dello Russo: “L’avere a disposizione strumenti all’avanguardia potrà essere di aiuto sia per la diagnosi di alcune patologie di difficile individuazione sia per una maggiore rapidità nell’ottenere i risultati delle analisi”. Eppure c’è ancora parecchio da fare per quanto riguarda la collaborazione tra clinico e laboratorista: “Solo il dialogo continuo e costante tra le due professionalità potrà contribuire a migliorare l’esperienza del paziente all’interno della struttura sanitaria”, conclude Dello Russo.